E' SICURO CONSERVARE IL CIBO IN VASCHETTE DI ALLUMINIO?

31.03.2014 11:58

 

L’alluminio è un materiale attualmente molto impiegato nel settore alimentare: si va dalla cottura (pentole e caffettiere dove molto spesso si parla di leghe di alluminio) fino ad arrivare alla conservazione dell’alimento stesso attraverso vaschette e fogli. Leggerezza ed elevata conducibilità termica sono le caratteristiche che rendono questo materiale appeal nella produzione di utensili destinati alla cucina: consentono infatti una regolazione efficace della temperatura nelle varie fasi di cottura e una distribuzione uniforme del calore su tutte le superfici, riducendo il rischio di bruciatura dell’alimento.

Le vaschette in alluminio spesso sono rivestite internamente da uno strato di vernice che isola dal contatto diretto con le pietanze: di fatto, in questo caso, non è più l’alluminio ad entrare in contatto diretto con il cibo ma lo strato polimerico. È stato dimostrato che fogli e vaschette di alluminio non sono potenzialmente dannosi per la salute e possono essere utilizzati per conservare cibi, ma sono necessarie regole precise affinché non vi sia migrazione del metallo nell’alimento.

Un ampio lavoro sperimentale, condotto negli anni recenti dall’Istituto Superiore di Sanità, ha permesso di delineare alcune raccomandazioni da seguire per utilizzare in modo sicuro l’alluminio in cucina.  In particolare la temperatura è fondamentale per la migrazione: una conservazione intorno a 5°C (in frigorifero) limita il passaggio di alluminio nell’alimento anche a 10 giorni di distanza, indipendentemente dalla tipologia del cibo conservato.

Pertanto la risposta al dubbio da vari lettori, che chiedevano se fosse sicuro conservare cibi grassi in fogli di alluminio, la risposta è sì, purchè siano rispettate le buone pratiche di conservazione ovvero mantenere l’alimento a temperature refrigerate. Questa affermazione è supportata anche da dati analitici che dimostrano come anche a 10 giorni di distanza dall’inizio della conservazione, la migrazione di alluminio sia pressoché nulla. Tra l’altro, la sperimentazione dell’Istuto Superiore di Sanità ha dato frutti importanti traducendosi in una norma esplicita a garanzia e tranquillità del consumatore: il Decreto n°76 del 18 aprile 2007 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n°141 del 20 giugno 2007.

 

Le condizioni ammesse dalla legge per recipienti e fogli in alluminio sono le seguenti:

- contatto breve: tempi inferiori alle 24 ore in qualunque condizione di temperatura,
- contatto prolungato: tempi superiori alle 24 ore a temperatura refrigerata,
- contatto prolungato: tempi superiori alle 24 ore a temperatura ambiente limitatamente agli alimenti con basso potere estrattivo (come caffè, spezie ed erbe, zucchero, cereali, paste alimentari non fresche, prodotti della panetteria, legumi e frutta secca, ortaggi essiccati).

 

Nella legge italiana si specifica che devono essere evitati i contatti prolungati a temperatura ambiente, o comunque non refrigerata, con alimenti acidi o troppo salati visto che l’ acidità e l’eccesso di sale favoriscono il passaggio del metallo nell’alimento. La legge introduce inoltre un obbligo di etichettatura per prodotti in alluminio, sui quali deve essere indicato:

- non idoneo al contatto con alimenti fortemente acidi o fortemente salati
- destinato al contatto con alimenti a temperature refrigerate
- destinato al contatto con alimenti a temperature non refrigerate per tempi non superiori alle 24 ore
- destinato al contatto con gli alimenti a basso potere estrattivo a temperature ambiente anche per tempi superiori alle 24 ore.

 

Un’ultima nota riguarda la tossicità dell’alluminio: l’alluminio è tossico per il sistema nervoso centrale, come altri metalli pesanti, nel caso in cui l’organismo non sia in grado di espellerlo, ad esempio in caso di gravi malattie renali. È meno velenoso, ma molto più persistente dei più noti mercurio, cadmio, piombo.  Secondo un dossier dell’ISS in merito alla sua tossicità «sembra possibile che l’alluminio presente nell’acqua potabile sia molto più biodisponibile rispetto a quello derivante da altre fonti».

 

Fonte: Il Fatto Alimentare